Un segmento di mercato della calzatura dove la qualità fa la differenza. È quello delle scarpe da ballo dove l’azienda padovana primeggia nel mondo. E le collezioni si allargano ora anche a modelli esclusivi per cerimonie e galà
Chi ama la danza è probabile che conosca Paoul, azienda padovana di calzature da ballo di qualità. Si tratta di una realtà frutto dell’inventiva e della passione di Paolo Pizzocaro il quale, dopo essersi formato in una scuola di modelleria e lavorato per un po’ di tempo come terzista, decide nel 1967 di mettersi in proprio. Il suo desiderio di progettare autonomamente le scarpe è incoraggiato dalla vicinanza alla Riviera del Brenta, principale distretto italiano delle calzature, e dalla voglia di incidere nel settore con qualcosa di personale. Il nome scelto per il marchio è Paoul, racconta la figlia Katia ora consigliera delegata, per una banale sostituzione di una lettera su un timbro. All’epoca, tuttavia, il mercato italiano presenta una scarsa offerta di scarpe da ballo e nel 1970 si lancia in questo ramo, affiancandolo alle commercializzazione delle altre calzature. Nel 1988 un incendio non doloso danneggia lo stabilimento e distrugge molti degli articoli presenti; Paoul perde clienti e decide d’ora in poi di dedicarsi solo alla linea per la danza. Il fuoco comunque non blocca la crescita della ditta, che diventa un importante player internazionale. Pizzocaro la dirige fino alla scomparsa avvenuta due anni fa. Da allora le figlie e la moglie ne portano avanti lo spirito e la mission originari, in una realtà che conta 27 dipendenti e fattura circa 2 milioni di euro all’anno. Nell’ottica di azienda come centro culturale, curano inoltre una collezione interna di tutta l’oggettistica e dei macchinari da lavoro.
Quando ci si fregia della dicitura Made in Italy, bisogna sempre tenere a mente che per la clientela significa esperienza e serietà. Così la pensa Katia Pizzocaro, che oltre a essere componente del cda coordina il marketing interno «Occorre rigore in tutto. Nel prodotto, nel servizio, nell’organizzazione. E perché ci sia rigore ci dev’essere passione alle spalle. Noi infatti non lavoriamo in base all’orario ma sul progetto, chi è assunto qui dev’esserne consapevole. A questo proposito operiamo un’attenta selezione a monte, non solo per il personale ma anche per i fornitori e i rivenditori i quali vengono customizzati». E assieme alla selezione va di pari passo la formazione, sia di chi lavora dentro che di chi vende i nostri prodotti nei negozi. «È un investimento nel medio e lungo termine, che consiste nell’affiancare i giovani ai più esperti. E di farli passare per più reparti: chi lavora per la parte commerciale e conosce le lingue passa prima per il punto vendita». Nel mezzo, non si trascura l’apporto dei social network. «Facebook risulta molto utile nell’interagire con il pubblico, il nostro profilo conta 6mila fan». Poi il prestigio del nome fa il resto: «Le nostre scarpe costano di più, ma il generale apprezzamento dell’acquirente finale porta comunque guadagno a chi ci espone». Prestigio che porta poi a soddisfazioni non da poco, visti i riconoscimenti da parte della rivista Vogue e della Regione Veneto. Negli ultimi anni sono state pure diversificate le linee di prodotto, oltre alla classica “dance” compaiono quelle per matrimoni e gala, teatro nonché “taylored” per i modelli esclusivi.
Uno dei principali auspici per il futuro è di mantenere l’elevato standard qualitativo. «È da sempre l’anima di Paoul – precisa Katia Pizzocaro – purtroppo non è facile trovare consumatori che possano sempre permettersi le nostre calzature, specialmente con la crisi degli ultimi anni. Questo diventa una ragione in più per affermarci all’estero, seppure non escludiamo di lanciare qualche linea più alla portata di tutti: attualmente fuori dall’Italia facciamo il 48 per cento del fatturato, ma vorremmo aumentare la quota. Certo, anche nei mercati stranieri ci saranno altre sfide: per esempio in certe città cinesi il prezzo non è un problema, ma tengono in molta considerazione la velocità con cui facciamo arrivare a destinazione la merce richiesta». Per Open Factory mostreranno i vari pezzi della propria collezione privata al grande pubblico, in genere aperta solo su appuntamento, per raccontare con esempi concreti quanto fatto fin qui dall’azienda e spiegare il settore.